Sono trascorsi ben 12 anni da quell’ultimo capolavoro di John Payne a nome GPS, ultima testimonianza di inediti che lasciava presagire ad una continuazione artistica di livello dopo che la “sua” band lo avesse scaricato per ridare spazio allo sfortunata e originale ugula di John Wetton. Parlo degli Asia, band di riferimento negli anni ‘80 con un Rock Aor autorevole e poi negli anni ’90 con un Rock più Prog grazie all’input creativo del bassista e vocalist John Payne. Da un decennio si attendeva un lavoro nuovo, più volte annunciato e più volte confuso a quale firma dovesse uscire.
Si attendevano gli “ASIA featuring John Payne” ed invece Payne spiazza tutti con nome nuovo ma stessa band consolidata negli anni, in cui vi spicca il talentuoso tastierista Eric Norlander. Se alla batteria troviamo ancora il fido Jay Schellen, alle chitarre si alternano veri eroi dello strumento (come da sempre voluto nel contesto Asia): Guthrie Govan e Jeff Kollman su tutti. Il disco suona come un ottimo bilanciamento tra le composizioni melodiche degli Asia ed i tecnicismi degli indimenticati GPS. L’opener "Brother in arms" è affidata ad uno dei brani meglio riusciti del full-lenght, lunga cavalcata dalle bellissime armonie ed intrecci vocali e guizzi chitarristici che culminano proprio alla chiusura del pezzo. “Strange days” è il single scelto, vincente in tutto: linea melodica, refrain, superbo lavoro tastieristico che apre ad un grandioso assolo di Govan. “Amor vincit omnia” sembra uscita dal cilindro degli Asia periodo Payne: cadenzata e solenne marcia che ritaglia intermezzi operistici e poi pianistici. Con “Time waits for no one” si torna su territori molto più melodici e accattivanti. “A sorrow’s crown” sembra promettere tanto ma non decolla mai abbastanza, nonostante il gran lavoro di Norlander. Molto più convincente la successiva “Fourth of July” dalla solida struttura ritmica ben accompagnata da archi e tastiere fino all’incedere davvero coinvolgente di un finale degno di quegli arrangiamenti virtuosistici mai pomposi e mai scontati. Il secondo e melodioso single corrisponde a “Seasons will change” e ci introduce al capolavoro finale: “Give another reason”. Autentico gioiello del disco e dell’intero “repertorio Payniano”, il brano parte atmosferico per aprirsi prima ad un inedito cantato quasi rap e poi al refrain che diventerà il cavallo di battaglia dell’intero pezzo. Un ritornello che si fa cantare, sempre più forte e sempre più magnetico nei minuti successivi grazie alle ispiratissime note tastieristiche, arrangiate magistralmente con il lavoro acustico ed elettrico di Kollman. L’attesa non è stata vana, Payne firma un altro disco bellissimo. C’è grande Musica.
Best tracks: “Give another reason”, “Brother in arms”, “Strange days”. 8/10