L’innesto di Jordan Rudess nei Dream Theater frenò l’ascesa della superband strumentale di Portnoy e Levin che vedeva riprodurre gli stessi elementi. Così, dopo 22 anni, decidono di tornare in studio e misurare la loro ispirazione per regalare ai propri fans un terzo album. “Hypersonic” dà inizio alle danze nel modo più prevedibile: virtuosismi tecnici e rincorse tra gli strumenti al fulmicotone, verso un dove sconosciuto però… un brano senza una direzione compositiva. “Beating the odds” invece la direzione c’è l’ha: un ritorno a sonorità anni 80 e 90, soprattutto con un tastierismo molto catchy. Levin si fa sentire bene nella successiva “Liquid evolution”, all’interno di un ambientazione world è la sei corde di Petrucci a dirigere un brano breve ma bello. “The passage of time” rimanda direttamente al loro Deus ex Machina: Dream Theater al 100%, quelli meno melodici. “Chris & Kevin’s amazing odyssey” aspira ad essere forse una sperimentazione strumentale crimsoniana ma non decolla mai. Allora “Rhapsody in blue” di Gershwin diventa il miglior modo per sperimentare su quello che è già stato leggenda, ognuno dei musicisti ne dà una chiave interpretativa diversa ed originale, forti delle loro possibilità tecniche. “Shades of hope” vuole essere un intimo inno chitarristico… ma sia Petrucci che Rudess sono scontati e stucchevoli. Intricatissima è la finale “Keys to the imagination”, ancora tanto tanto Dream Theater dal tono arabeggiante, in un trupudio di scale minori. Un bonus disk di oltre 50 minuti rinfranca fan e addetti anche sul lato jam session e jazz fusion. I nostri eroi si sono certamente riscaldati bene le dita, ma a me non hanno riscaldato molto il cuore e davvero poco anche il cervello. Best tracks: “Liquid evolution”, “Rhapsody in blue”. 6/10