L’evento più insperato ma anche il più atteso è accaduto il 24 giugno,  gli inossidabili fan (io per primo) dei Porcupine Tree sono stati premiati. A 13 anni di distanza dal loro ultimo “The incident” possiamo gustarci un loro nuovo lavoro, indipendentemente dal livello qualitativo. Una band di culto si ama a prescindere e loro sono stati i migliori rimodulatori del sound floydiano, gli unici a ricrearne uno stile proprio su quelle radici così leggendarie e nobili. Il merito è inequivocabilmente del loro guru Steven Wilson che esattamente 30 anni fa faceva partire il viaggio che raccoglie il meglio della psichedelia, dello space-rock, del metal, del prog e dell’elettronica. E’ partito per gioco e da solo, poi si è unito un batterista molto dotato, Chris Maitland, un tastierista (atipico) già noto con i Japan, Richard Barbieri, ed il bassista Colin Edwin. Li ho conosciuti all’inizio del loro successo, era il 1996, subito dopo l’uscita di “The sky moves sideways” ed a ridosso del successivo “Signify”, li ho conosciuti nella città che li ha fatti esplodere: Roma. A Roma la radio locale Radio Rock  li ha accompagnati al successo, già con i primi concerti… sette anni di crescita esponenziale in tutta Europa fino al cambio di batterista che li ha portati per altri ulteriori sette anni alla consacrazione, fino a conquistare anche l’America. Il mito del nuovo batterista Gavin Harrison ha certamente creato un ulteriore livello, non solo musicale. La bellissima carriera solista di Wilson ha addolcito questi lunghi 13 anni di silenzio della band che ha approfittato del lockdown da pandemia per riorganizzarsi, senza il bassista Edwin, ritenuto disinteressato anche a livello compositivo. Wilson rimprovera proprio nel torpore compositivo degli altri componenti il motivo che ha segnato la lunga pausa produttiva della band. In realtà è stato evidente quanto Wilson cercasse nuovi stimoli e sperimentazioni con nuovi musicisti che gli estendessero il bagaglio musicale e gli innescassero una brillante carriera solista. Con i ruoli definiti di Harrison alla stesura delle ritmiche, Barbieri a pitturare le atmosfere e Wilson alle composizione (si occuperà anche di tutte le linee di basso), i tre musicisti hanno dato qui tutti il loro apporto creativo. Proprio l’iniziale “Harridan” (primo singolo) rappresenta al meglio il “core” dell’intero album. Basso e batteria funky dettano una ritmica che sarà la struttura portante non solo di questo pezzo, le melodie sono asciutte, scarne e tanti sono gli strumenti che si inseriscono ma sempre solo accennati.  Dalla seconda metà riffoni metal si incrociano con i suoni lisergici di Barbieri che rimandano ai primissimi fasti della band. E’ un pezzo astruso e sinistro che finisce con il cantato struggente di Wilson dopo un bellissimo lavoro al sequencer di Barbieri. La successiva “Of the new day” è la ballata che non deve mancare in un disco Porcupine Tree: la linea melodica  (molto bella) è imbastita subito alla partenza dal cantato di Wilson, atmosfera nostalgica sconquassata da qualche sterzata chitarristica incrementata dalle aperture sonore di Barbieri. Non è scontata e prevedibile forse, ma meno coinvolgente di una "Lazarus" o "Shesmovedone". “Rats return” è una traccia "politica" nella quale Wilson invita a non fidarsi mai troppo dei politici che ci governano, il risultato è ovviamente un pezzo  molto sostenuto che rimanda proprio a quel “The incident” e alle prime produzioni soliste di Wilson, in cui i riffoni vengono alternati a cori onirici. La successiva “Dignity” è un'altra ballata che rimanda da subito alle atmosfere di “Lightbulb sun” e “Stupid dream”: ha un bel refrain (riproposto alla fine anche al piano), slide guitar, potente mellotron e fantastico motivo al sintetizzatore di Barbieri, in un certo senso può richiamare anche a quella bellissima “Perfect life” di “Hand cannot erase”, ma qui c’è tanto di più  a livello compositivo  e sonoro. “Herd culling” potrebbe stare dentro un album come “In Absentia”, ma mi ricorda tanto le bellissime esplosioni di “Open car” in “Deadwing”, gran lavoro di tutti i musicisti che trovano le idee giuste per il pezzo che vede anche il primo (e breve) solo chitarristico di Wilson nell’album. “Walk the plank” invece sembra uscita dagli ultimi album synth-pop di Wilson, privo di chitarre ma ricco di soluzioni ai sintetizzatori, in un atmosfera sospesa che vede il magistrale lavoro di Barbieri, l’abilità di Harrison ed una bella performance vocale di Wilson. Si giunge al capolavoro finale che si chiama “Chimera’s wreck”: Wilson avanza un motivo struggente arpeggiato alla chitarra con tanto di falsetto sul cantato. L’atmosfera cresce e si fa sempre più frenetica, si fanno sentire i tamburi titatissimi di Harrison, improvvisa penetra una chitarra tagliente con tanto di wah wah, in levare è poi richiamato il motivo trascinante. Il basso pulsa forte come l’intera linea melodica riproposta negli accordi chitarristici finali, maledettamente belli. Un bonus disk regala l’intero album in versione solo strumentale ed altri tre pezzi degni di nota: “Population 3” è uno strumentale total guitar oriented che ricorda cose contenute nell’epoca “Signify”, ipnotica e malinconica. “Never have” sarà stato uno scarto di “The incident”, un pezzo articolatissimo, ricchissimo di sfumature e variazioni ritmiche ma non per questo meno coeso o meno bello, anzi. “Love the past tense” sembra un pezzo uscito dagli Yes di “90125”, il refrain è trascinante grazie anche ad un poderoso mellotron, il lavoro chitarristico è straordinario, le dilatazioni sonore finali da brividi. Com’è possibile relegare fuori dall’album tre pezzi così riusciti e brillanti? Perché profondamente diversi dalle caratteristiche di un album  costruito essenzialmente su una poderosa e articolatissima sezione ritmica (Harrison è quasi ingombrante) e priva di orpelli, le linee melodiche sono scarne e l’ascolto è difficile perché mai scontato, mai prevedibile. Come la grafica, così essenziale e  minimal, ma anche impegnativa perché ogni riquadro bianco vuole spronare l’immaginazione di ognuno a completare interamente le immagini inserite. I Porcupine Tree si sono fatti difficili, sospesi ed impegnativi, ma non sempre convincenti. Tante idee (anche buone), costrette ad essere cucite, in modo brillante certo si, ma in un periodo così lungo da indebolirne l'originalità e la freschezza compositiva.   Best tracks: “Harridan”, “Dignity”, “Chimera’s wreck”. 7/10

 

ALAN PARSONS will release the new album "From the new world" on 15th july 2022.

PORCUPINE TREE in tour:
Date in Italy:   Milano, 24 ottobre 2022, Forum Mediolanum Assago.