Sono trascorsi ben 27 anni dall’esordio degli Arena in quel genere così variopinto qual’è il Progressive. La loro storia musicale cavalca un pò gli avvicendamenti alla voce: i primi lavori con Paul Wrighston erano Prog Marillion al 100%, poi Rob Sowden li dirottò verso un metal Progressive alla Savatage ed infine Paul Manzi ad un Prog più Aor, commerciale per così dire. Dopo 4 anni da “Double vision”, Nolan e compagni hanno deciso ad un'ulteriore virata chiamando alla nuova causa la più celebre ugola di Damian Wilson, uno che di band Prog ne ha girate in lungo e largo. Il timbro di Wilson è completamente differente da quello del buon Manzi, meno teatrale ma più duttile e acuto. Si parte subito con i vocalizzi di “Time capsule”, un pezzo travolgente che si fa cantare a squarciagola, un vero inno tra i saliscendi. La successiva “The equation” ha le magiche atmosfere dell’IQ sound, un Nolan in grande spolvero ai synth ed ai tasti d’avorio, un’interpretazione di Wilson magistrale con tanto di refrain vincente, peccato solo l’elettrica di Mitchell sia rimasta nell’ombra. Il livello resta altissimo con la ballata atmosferica di “Twenty-One grams”, anche qui un refrain sensazionale ed aperture tastieristiche, Wilson impeccabile e Mitchell in disparte. L’arpeggio malinconico della breve  “Confession” funge da intermezzo per la successiva “The Heiligenstadt legacy”, in cui Nolan tesse al pianoforte l’impianto che esplode nella drammaticità espressa dall’ugola di Wilson, ancora una volta superlativo. “Field of sinners” rievoca i vecchi Arena, quelli epici e prog tondi tondi, non a caso è la chitarra di Mitchell qui a tornare in auge. Con “Pure of heart” si resta su un sound familiare per gli Arena, saliscendi continui tra toni drammatici ed aperture più temperate. “Under the microscope” si dimena tra fughe tastieristiche e finalmente anche chitarristiche, e poi i soliti guizzi vocali di Wilson. “Integration” sembra essere l’apoteosi musicale di Nolan che traghetta il pezzo con lunghissimo fraseggio tastieristico dal sapore Yes. La marcia sincopata di “Part of you” è davvero bella, finalmente Mitchell inventa qualcosa e Wilson interpreta meravigliosamente. Brividi. La conclusiva “Life goes on” chiude nel modo migliore l’album: coesione perfetta tra i musicisti, un pezzo epico ed equilibrato nelle sue parti, in cui il solito genio di Nolan che puntella al piano per far esplodere un refrain trascinante come le corde elettriche ed ispirate di Mitchell. Ammetto che i picchi degli ultimi due pezzi elevano il mio gradimento di un album che fondamentalmente non si lasciava ricordare tra i migliori della loro discografia.  Best tracks: “The equation”, “21 grams”, “Part of you”, “Life goes on”. 8/10