Anche i Threshold arrivano alla soglia dei 30 anni d’attività, con diversi rimescolamenti nella formazione nel corso degli anni, in particolare al microfono, che segnala purtroppo la perdita prematura del buon Andrew McDermott. Dopo il capolavoro mastodontico di “Legends of the shires” si assesta alla vocals ancora Glynn Morgan e con ottimi risultati. Tra i tanti casi di band e musicisti che hanno ottenuto meno (successo) di quello che meriterebbero ci sono anche i Threshold: una discografia onestissima, un livello compositivo sempre alto ed un sound moderno e straordinariamente versatile. Il loro metal può ammiccare un’ampia platea perché spazia dal Prog, al Dark, all’Heavy con una compattezza ed equilibrio sbalorditivo. L’iniziale “Haunted” è subito tiratissima e travolgente con un ritornello mozzafiato e la caldissima ugola di Morgan a direzionare il pezzo anche su intermezzi più adagi ed intimistici. Non c’è tempo di appassionarsi per questa presentazione altisonante che la successiva “Hail of echoes” conferma quello che accennavo: straordinaria sinergia degli strumenti, tappeti tastieristici inappuntabili di West dialogano meravigliosamente con le chitarre di Karl Groom, sia ritmiche che soliste. Le pelli di James a tenere un dinamismo che è marchio di fabbrica e Morgan ancora più teatrale che mai. “Let it burn” parte spaziale ma presto si assesta su un metal puro trascinato da un incredibile Morgan, decisamente dominante e coadiuvato da un gran lavoro tastieristico di Richard West. “Silenced” ha un sentore di Muse nel refrain con voce filtrata ed atmosfera futuristica seppur tirata e dinamica. I Dream Theater più melodici sembrano aver ispirato la bellissima “The domino effect”, che dire, brividi! Un refrain meraviglioso, una costruzione compositiva brillante e doppio guitar-solo per ogni gusto. No relax con “Complex”, suona massiccia come un classico senza stupire, nonostante West e Groom le provino tutte. “King of nothing” mantiene quanto detto per “Complex”, solo che qui è Morgan a dimenarsi su un pezzo compositivamente un pò scontato. “Lost along the way” è un mid-tempo che fa il verso agli Asia prima maniera, come anche “Run”, del resto. La conclusiva “Defence condition” vuole essere una summa di quanto ascoltato finora: i toni si fanno epici con tastiere ariose e Groom che articola riff massivi ad emozionanti arpeggi che segnano il passo vocale di un Morgan sempre a suo agio. Non posso non segnalare il lavoro sempre ispiratissimo di West che dimostra sempre un certo gusto negli interventi e nelle scelte, tutte. Insomma, alla fine un altro bel disco che suona alla grande, magari non al livello compositivo del predecessore. Best tracks: “Haunted”, “Silenced”, “The domino effect”. 7/10