Ottava opera del gruppo norvegese capitanati ormai dall’istrionico cantante Einar Solberg. Tra le poche band in ambito rock che osano e continuano a sperimentare fino ad uscire da qualsiasi etichetta stilistica. Con “Malina” raggiunsero la maturità ottimale e nessuno come loro riesce oggi ad utilizzare in un modo così brillante e coerente i sintetizzatori in un ambito rock-metal. Dopo lo stanco (non nel senso energetico) “Aphelion” la band perde il violinista Raphael Weinroth-Browne ed aggiunge più elettronica, ed il sontuoso cantato di Solberg è meno ingombrante anche se centrale. Si parte con “Silently walking alone”, sintesi perfetta del loro sound: una ritmica scomposta, chitarre che producono suoni marziani, synth che esaltano l’ugola di Solberg. “Atonement” è l’ideale saliscendi vocale di Solberg con le chitarre che contrappuntano ed il refrain che fa gridare anche l’ascoltatore. “Specter” esprime tutte le diavolerie compositive della band in un mood spettrale ed enigmatico. Se era possibile salire ancora di livello c’è “I hear the sirens” in cui Solberg si supera per tecnica e timbrica. Dalle sole prime note esplodono brividi! Un tappeto sonoro strabiliante che accompagna il cantante in una prova epica e maestosa, direi meglio indescrivibile. E’ arte pura. “Like a sunken ship” è maestria degli arrangiamenti in un pezzo fondamentalmente asciutto ed arrabbiato fino a raggiungere sonorità doom metal. “Limbo” sintetizza ed introduce la seconda parte che diventa l’apoteosi dell’apoteosi! Da questo momento inizia un altro viaggio sensazionale: si comincia con “Faceless” un’astrusa ballata alla Leprous che ci fa ripetere “I will never go alone, never go alone” all’ossessione, in ogni modo, in qualsiasi ottava, con quei suoni cristallini, perfetti, che ci accompagnano, ci trascinano… alla successiva “Starlight”. Le meraviglie vocali di Solberg dominano sempre, ma con la dovuta attenzione è possibile sentire il lavoro geniale nascosto, captare quello che inventano le chitarre di Suhrke e Ognedal, i synth e quel pazzo di Baard Kolstad alla batteria. “Self-satisfied lullaby” vuole farci respirare un po' e credo anche sognare perché i vocalizzi di Solberg nella parte centrale questo fanno, e quei riff finali solo loro li estrapolano. La chiusura è affidata alla marcia epica di “Unfree my soul” che contiene altro refrain memorabile pervaso da una magnifica pad. Come se non bastasse i nostri ci regalano una “bonus track” e non è una “bonus track” qualsiasi: un gioiello danzereccio con un ritornello pazzesco, Solberg mai domo non vuole più fermarsi! Un discone, se solo avessero inserito una sterzata (tipo una lunga suite) anche nella tracklist un po' monotona gli avrei dato il massimo dei voti, grandi Leprous comunque e, e grazie Einar Solberg.
Best tracks: “I hear the sirens”, “Faceless”, “Starlight”, “Unfree my soul”. 8/10