Una bella sorpresa rivedere attivo Daniel Cavanagh, guru degli Anathema. Dopo le voci di una sua grave depressione che lo avrebbe indotto anche a vendere parte della sua strumentazione, sembra abbia ritrovato nuove energie e spinte creative nella Musica che ama e per la Musica che lo salva. Rinnovarsi significa anche mettere da parte il vecchio, così cambia nome e formazione, via tutti ad eccezione di Daniel Cardoso, il fido polistrumentista e produttore, qui nelle vesti di batterista. Weather Systems era anche il nome di uno degli album migliori degli Anathema e questo disco sembra riprenderne contenuti e sonorità. Dopo sette anni dall’ultimo “The optimist” (che sembra non aver portato bene) Daniel non sembra affatto arrugginito già con l’opener “Synesthesia”. Una cavalcata alla “Thin air” che fa subito innamorare, il ritmo dettato da Cardoso è intervallato dagli arpeggi sublimi della chitarra di Cavanagh ed il ritornello vocale che si fa subito cantare, e poi giù di riff devastanti. I residui di questo tripudio vengono descritti dalle note pianistiche e il mantrico “rain down”, “rain down” sussurra ripetutamente Cavanagh ipnotizzandoci nell’incredibile mondo Anathema cucito da quelle solite poche note elettriche ma precise e perfette, al cuore. Una perla questo inizio! “Do angels sing like rain” conferma la ritrovata energia utilizzata in un pezzo costruito su un arpeggio infinito, la voce che sembra quella di Steven Wilson e ancora rabbia alla Anathema. E’ il momento di tornare romantici, e “untouchable part 3” è la miglior proposta e riproposizione per quelle due vecchie tracce capolavoro. Piano ed archi accompagnano prima Cavanagh e poi l’immancabile voce femminile, non quella di Lee Douglas ma di Soraen Silva. Il risultato è bello, bellissimo lo stesso. I brividi non finiscono, anzi. “Ghost in the machine” è un ritmo percussivo, anzi tribale, su cui si appoggia la voce e l’arpeggio di Cavanagh e poi il falsetto di Soraen Silva, la seconda parte si canta tutti insieme, noi e loro. E’ pazzesca nel suo incedere sospeso ma penetrante. “Are you there” vuole commemorare anche l’album “A natural disaster” e questo dolce inno è la sua diretta prosecuzione con gli archi protagonisti. “Still lake” è puntellata al piano trasmettendo incertezza per un po', fin quando comincia a definirsi la melodia vocale e l’armonia generale con l’aggiunto lavoro chitarristico e la prevedibile esplosione finale, mi ha ricordato “Open car” dei Porcupine Tree. Calmiamoci con “Take me with you”, sussurrata da Daniel e poi Soraen fino all’ormai “marchio di fabbrica elettrico” finale. Le emozioni crescono ancora di più con “Ocean without a shore”: voce filtrata da vocoder accenna la melodia introducendoci nell’atmosfera ultraterrena, sempre più quando parte un bellissimo sequencer ipnotico dei sintetizzatori, diventa lui l’asse portante del brano e quando decolla anche la batteria ci si alza in piedi, è standing ovation! Il finale non è banale affatto: una ballata afro o afro-disiaca di Peter Gabriel memoria. Capolavoro assoluto, Daniel.
Best tracks: “Synesthesia”, “Ghost in the machine”, “Ocean without a shore”. 9/10
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