E’ stato controverso e complesso, ambiguo, eccentrico, profondo e sorprendente sempre, sul palco, e probabilmente anche nella vita privata, in quella vita in fondo sempre più borghese, quasi tradizionalista, che andava conducendo negli anni. E’ stata proprio questa apparente dicotomia del personaggio (o forse meglio parlare dei personaggi, tanti personaggi!) con la sua persona, fondamentalmente austera, a rappresentare al meglio la forza artistica e umana di David Bowie. Essere tutto ed il contrario di tutto fino al midollo, fino alla morte. Una morte che diventa forma d’Arte sopraffina, anch’essa. L’ha immaginata e l’ha rappresentata, e poi l’ha strumentalizzata come suo Ultimo Saluto. Con questo disco, “Blackstar”. Quale modo migliore per eluderla o caricarla, utilizzarla o solo abbracciarla dolcemente? E poi con un bel Colpo di Scena per il suo pubblico… niente di meglio che festeggiare il sessantanovesimo compleanno con il proprio ultimo testamento musicale e poi andarsene inaspettatamente 2 giorni dopo, per sempre.Un capolavoro! Il disco è già questo, senza neppure ascoltarlo!
Eppure Bowie era già seriamente malato da almeno 4 anni, nel suo estetico e dignitosissimo silenzio. Proprio in questo silenzio ha partorito i suoi 2 album migliori; quelli più raffinati, complessi, maturi… forse il silenzio quando è sofferto, devastante e lacerante aiuta certi processi creativi, spacca e apre le porte migliori. Abbandonata la scena live già dal 2006 per i noti problemi cardiaci, si concentra in studio prima con l’ottimo “The next day” e poi il Duca Bianco accellera la cavalcata per partorire ad ogni costo questo autentico capolavoro che è “Blackstar”. Lo ascoltai prima che Bowie morisse e non fu comunque difficile pensarlo subito come un vero testamento, aiutato anche dal meraviglioso video di “Lazarus”. I nuovi musicisti dei quali si accompagna provengono tutti da radici jazz ed il sassofono di Donny McCaslin è proprio il filo conduttore nella Musica proposta. Non è anch’esso un caso: Bowie iniziò a suonare da bambino il sax, suo primo strumento, suo grande amore…niente di più naturale che rispolverarlo alla grande, proprio alla fine. “Where are we now?” si chiedeva (cantando meravigliosamente) 3 anni fa il Duca Bianco… ora sembra aver trovato tutte (o quasi) le risposte; già con l’iniziale, lunga e articolata “Blackstar”. I riferimenti biblici, mitologici ed esoterici sono la struttura portante di un cantato onirico, a tratti sussurrato ma sempre affilato ed incessante, le atmosfere sono cupe al battere percussivo ed ossessivo. Poi appare una luce improvvisa rappresentata dalla voce “normalizzata” di Bowie, ma è solo un intermezzo perché la morte è annunciata. La successiva “ ‘Tis a pity she was a whore” disorienta subito non solo per i suoi connotati musicali super jazzistici in cui i fiati la fanno da padrone ma anche per il suo testo strambo e ”terreno”. E’ bellissima, comunque. Solo 5 minuti e si torna sulle atmosfere claustrofobiche, inquietanti e disperate di “Lazarus”: Bowie canta (meravigliosamente), spiega e si domanda, e il sax risponde, gli soffia lieve, lo accompagna nel lievitare del suo trapasso in cui si vede già lontano. E’ il capolavoro che annuncia, ci annuncia. La successiva “Sue” ci parla di false speranze, di tradimenti, di “una fede infinita per opere senza speranza” e la musica è un labirinto di suoni in cui il battere ed il levare la rendono sempre più ossessiva e frenetica. Con “Girl loves me” Bowie sembra vivere un' incomprensione , una solitudine che non è solo affettiva, e la musica riflette questo senso ancora di inquietudine in cui il contrappunto degli archi non levia una struttura onirica e schizofrenica. Pianoforte e sax introducono il pezzo più melodico e struggente dell’album, è “Dollar days”, una sorta di analisi sul valore delle cose a cui si è fatto affidamento, a ciò che si sta perdendo e forse non si vuol perdere. “Vedendo di più e sentendo di meno”, “Dire di no ma intendere si”, “Questo è tutto quello che ho mai avuto da dire”. Con questi versi Bowie saluta, rendendosi conto che non può dare tutto via, o forse meglio non vuole. La più leggera “I can’t give everything away” chiude l’Opera magnifica di Bowie. Chiudere così la propria vita è un privilegio, si, ma anche un viaggio perfetto che può volere e costruire solo chi ha cercato sempre oltre, lontano da ogni pregiudizio, ma vicino agli amici Pianeti, tutti. Non necessariamente il solo Marte.
Best tracks: “Lazarus”, “Blackstar”, “Dollar days”. 8/10
DAVID BOWIE (1947), the Total Artist, has passed away (10 january 2016) after an "18-month battle with cancer".
R.I.P.